Per qualche kilowatt in più….

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A Castelfranco in Miscano, dove Sergio Leone ha girato “Per qualche dollaro in più”, un paese morto e indifferente, appoggiato su un crinale in cui l’unica cosa che si muove sono le centinaia di pale eoliche. Gigantesche, onnipresenti. Davanti e dietro a te. E sopra: con un frusciare continuo come di una sportina di plastica che ti si chiude sulla testa e ti entra nel cervello come martello pneumatico. Un girare vorticoso che dà vertigine e mal di mare. Un paesaggio lunare, in cui qualche kilowatt si è barattato col paesaggio. O forse con qualcosa di ancor più importante, qualcosa che sta dentro a ciascuno di noi. Perchè ciò che siamo è inscindibile da ciò che ci circonda. Una signora a passeggio con una bambina fra i campi bruni, appena dissodati, sotto le pale, mi dice che a lei non dispiacciono affatto: “movimentano il paesaggio”. Punti di vista.

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2 pensieri riguardo “Per qualche kilowatt in più….

    Vincenzo Del Core ha detto:
    26 ottobre 2014 alle 09:40

    Morto e indifferente? Sinceramente, credo che le sue parole siano eccessive e, mi permetta, fuori luogo. Posso capire il giudizio sulle pale eoliche, che nella sostanza personalmente sento anche di condividere, ma trovo assolutamente inopportuno e offensivo nei confronti della popolazione castelfranchese tutta, che evidentemente non conosce, utilizzare un linguaggio del genere. La sua è una valutazione di merito che chiama in causa aspetti che vanno al di là delle semplice constatazione di ciò che il mero paesaggio fisico offre o che un breve e sommario “sondaggio” (la signora a passeggio con la bambina, stando a quanto lei riferisce) presenta. La definizione di paese, dovrebbe saperlo, racchiude riferimenti all’intera comunità, alle tradizioni, alla cultura del luogo. Si informi: originario di Castelfranco in Miscano per parte paterna e materna è Sir Antonio Pappano, uno dei più importanti e prestigiosi direttori d’orchestra al mondo. Ogni estate, dal 2004, il Maestro omaggia il paese di un concerto aperto a tutti e non perde occasione per ringraziare la comunità castelfranchese dell’accoglienza e del calore che riceve. Si informi sulle ricchezze agroalimentari della zona, frutto non solo delle peculiarità geomorfologiche del luogo, ma anche della straordinaria laboriosità dei castelfranchesi, dell’amore per un territorio che non merita, al netto della presenza delle pale eoliche e delle responsabilità di chi ne ha favorito la costruzione, un marchio tanto mortificante. Non voglio, con queste mie considerazioni, negare il sacrosanto diritto di critico; tuttavia, ritengo che la scelta dei termini, senza avere la pretesa di farle una lezione (anche perché non ne ha palesemente bisogno), sia stata affrettata e, come ho già detto, involontariamente offensiva.
    Spero voglia rettificare la sua poco felice osservazione: mio padre è di origine castelfranchese e, anche se la mia famiglia da molto tempo non vive più nel posto da molti anni (se si eccettuano brevi periodi), mi è dispiaciuto leggere di morte e indifferenze in un paesino che, come la stragrande maggioranza di quelli disseminati lungo le dorsali appenniniche e subappenniniche dell’Italia centro-meridionale, ha subito il trauma dello svuotamento dovuto alle migrazioni interne ed esterne e non riesce (anche per responsabilità dei suoi abitanti, ci mancherebbe!) a trovare la propria dimensione in un quadro socio-economico sempre più incerto e precario.

    Con i migliori auguri per il suo lavoro, la saluto cordialmente

    Vincenzo Del Core

      riccardofinelli ha risposto:
      28 ottobre 2014 alle 23:30

      Gentilissimo Vincenzo,
      La ringrazio intanto per la visita e l’interessamento al mio lavoro. Io però non lascio e, anzi, raddoppio. Non me ne voglia, ma non mi sento di rettificare nulla. Con buona pace delle peculiarità gastronomiche (e chi non ce le ha), della cultura, delle tradizioni, dell’amore per la propria terra di ogni emigrante (ci mancherebbe altro) e anche del Maestro Pappano. Chi indossa i panni del viaggiatore, come mi capita talvolta di fare, vive di sensazioni di pancia, d’istinto, di emotività, di osservazione diretta. Senza mediazioni. Sono gli strumenti di chi fa il mio mestiere. Altrimenti avrei fatto il professore universitario. Al viaggiatore che arriva e si guarda attorno, che chiede informazioni in un bar, che tenta disperatamente di trovare sul sito del comune o in giro per il web informazioni su quella cultura e quelle tradizioni che lei decanta, ha esattamente la sensazione che tanto la infastidisce: morte e indifferenza.
      Caro Vincenzo, lo so che mi scrive con lo spirito del “tifoso”, con l’anelito di “chi vorrebbe tornare ma non può”, di chi ogni giorno si dice “mannaggia, ma guarda quante opportunità sprecate..”. Il problema però è che non basta una storia importante e qualche sagra d’estate per certificare la vita di un paese. I paesi vivono, se vivono, il lunedì. Quando si chiudono le seconde case e rimangono i residenti. Che poi qualcuno molto più bravo di me a scrivere chiama i “rimanenti” (copyright del geniale Franco Arminio): gente spesso anagraficamente o moralmente vecchia e rassegnata. Del resto me lo chiama vivo un paese che ha perso quasi due terzi dei suoi abitanti negli ultimi sessant’anni e ha svenduto (in ottima compagnia) il proprio territorio agli pterodattili delle rinnovabili? E guardi che non è un problema solo estetico. Io credo che quelle pale non abbiano solo stuprato il paesaggio, ma abbiano irrimediabilmente leso il senso del decoro interiore di chi li sotto vive. Perché se ogni giorno devi svegliarti con quella roba attorno, è chiaro che devi abbassare la soglia di ciò che ritieni lecito: ambientalmente e forse non solo. La mancia per chi si fa installare una pala nel campo è di circa 5.000 euro all’anno. Ci rifletta. E rifletta sul perché il sito del comune è un deserto informatico ed emotivo o sul perché non c’è nulla (uno straccio di cartello almeno ecchecazzo!) che racconti del maestro Pappano o di Sergio Leone. Non è morte e indifferenza questa?
      Le scrivo tutto questo con tono volutamente provocatorio e con una vena di tristezza, che credo potrà cogliere se vorrà leggere il libro. L’unica strada per riprenderci la nostra Montagna Ventrale è quella degli innesti esterni, delle sperimentazioni. Occorre attrarre nuova residenzialità qualificata (che con le seconde case si fa poca strada). Occorre lavorare di più per accogliere e integrare i tanti immigrati che già oggi sono diventati i nuovi montanari. Occorre rischiare, guardare avanti e non prendersela troppo se perderemo per strada qualche tradizione. Quando si guida lo specchietto retrovisore serve, ma si guarda avanti.
      Mi stia bene e grazie per questa occasione di confronto.
      Riccardo Finelli

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